Già nell’antichità, i navigatori si ritrovarono a risolvere un problema sempre attuale: proteggere la carena della barca dal cosiddetto fouling, ovvero l’attacco di microrganismi subacquei. Quelli che si attaccano allo scafo, riducendo così la sua velocità e l’integrità stessa. Insomma, un’esigenza che, nei secoli, ha portato all’invenzione di quella che oggi conosciamo come vernice antivegetativa.
Certo, ci sono tanti altri rimedi per proteggere l’opera viva delle imbarcazioni. Ma quando si parla di combattere gli organismi incrostanti che invadono le carene, anche solo a causa delle lunghe soste in mare, le antivegetative sono una delle soluzioni più apprezzate.
Ecco allora che si fa strada una storia fatta di studi in laboratorio e analisi di ogni tipo. Una storia culminata nell’800, quando la vernice antivegetativa prese finalmente la forma che conosciamo tutt’oggi.
Pensa solo che per i navigatori primitivi, spesso influenzati da mentalità magico-superstiziose, erano convinti che i microrganismi infestanti potessero presentare uno spirito demoniaco, così forte da condannare l’equipaggio ad una brutta fine durante il viaggio in mare.
In ogni caso, demoni o no, una cosa è certa: il problema del fouling è importante, e va risolto con i prodotti giusti.
Andiamo alla scoperta dell’antivegetativa nella storia.
L’inizio del viaggio
Cerchiamo di risalire alle origini, andando a ritroso nel tempo. Per lo storico Plutarco 46-127 a.C.), ad esempio, pare che i microrganismi delle carene fossero paragonati alla sporcizia. L’autore, infatti, nelle sue opere riporta la pratica della raschiatura di erbacce e melma dal fondo delle navi, operazioni descritte come abituali già al tempo.
Pulizia a parte, però, come riuscivano a prevenire il problema? Ci viene in soccorso un papiro aramaico del 412 a.C., nel quale viene citato un “mix di zolfo e arsenico” che, applicato sulla carena, diminuisce l’attrito in acqua, facendo procedere più veloce l’imbarcazione.
Nell’Antica Grecia, invece, lo strato applicato sul fondo era composto da catrame e cera.
Secoli dopo, invece, gli esperti navigatori si accorsero che i comuni buchi nel legno dello scafo erano causati da lunghi vermi, al tempo chiamati foranavi. La soluzione? Ricoprire lo scafo con del piombo, materiale presente in abbondanza e abbastanza malleabile che, fin da subito, si rivelò una scelta efficace.
L’evoluzione dell’antivegetativa
Risolto il problema dei foranavi, il piombo iniziava a perdere appeal a causa del suo peso. Serviva qualcosa di più leggero, come la mistura di calce e oli velenosi scelta dall’ammiraglio cinese Zheng He, tra il 1371 e il 1434. Cristoforo Colombo, invece, pare optò per il catrame, unito a del grasso animale, da stendere periodicamente durante le tappe dei lunghi viaggi in mare.
Arrivando invece al 1500 d.C., le testimonianze ci dicono che le navi venivano protette o con una miscela di zolfo e arsenico, molto simile a quella già citata nel papiro aramaico, oppure con una guaina in rame. Nel 1625, poi, la svolta.
William Beale presentò il primo brevetto per una vernice costituita da polvere di ferro, cemento e rame. Un nuovo concetto di protezione che, 45 anni dopo, portò i biologi Philip Howard e Frances Watson a brevettare una vernice di catrame, resina e cera d’api. Alla fine del XVIII secolo, poi, William Murdock presentò un brevetto per una vernice con zinco in polvere, solfuro di ferro e arsenico, utilizzato proprio come antivegetativo.
Dai brevitti del XIX secolo alle vernici antivegetative di oggi
Il Settecento è il secolo della maggior conoscenza su alcune reazioni chimico-fisiche, quali la protezione catodica o la corrosione galvanica. Ma è l’800 che portò alla storia l’antivegetativa che conosciamo oggi, con oltre 300 brevetti depositati già nel 1870. Tecnologia e competenze avanzavano sempre più rapidamente, seguite da risultati in laboratorio più precisi ed affidabili. Gli scafi, nel frattempo, avevano cambiato materiale costitutivo, passando dal legno al ferro, da trattare in tutt’altro modo. Tra l’altro, era l’epoca del colonialismo, delle rotte commerciali e delle prime emigrazioni. Insomma, il mare era al centro di tutto, forse più di quanto mai lo sia stato in precedenza.
Ed ecco che, proprio in questo contesto, appaiono le prime vernici antivegetative che sfruttavano uno o più biocidi per contrastare l’arrivo dei microrganismi incrostanti. Un meccanismo che inizialmente era di rilascio ma che, nella seconda metà del ‘900, diventò a contatto.
Il Paese più impegnato in questa ricerca era sicuramente l’Inghilterra, casa dei passi avanti più rilevanti nello sviluppo di questi prodotti. Passi che poi portarono alla scelta definitiva delle pitture anticorrosive e le vernici antivegetative che utilizziamo oggi. Quelle essenziali per la stragrande maggioranza dei diportisti di tutto il mondo.